La Bio-Logica del comportamento

«Tutte le malattie sono programmi biologici di sopravvivenza, risposta del nostro cervello a una situazione emozionale incompiuta». Così Jean Claude Badard introduce una nuova forma di terapia regressiva diretta a sanare conflitti emotivi e a curare, con essi, sintomatologie collaterali. I comportamenti per lui hanno una radice in situazioni emozionali, legate alla storia dei genitori. Anche in questo caso, la storia ci aiuta a comprendere meglio le terapie regressive che si basano sulle teorie della biologia del comportamento, tenuto presente che questo genere di terapie affonda le radici in scienze, come la biologia, certamente più comprensibili agli specialisti che non a chi decide di ricorrervi. Si parte, sintetizzando, dal presupposto che esiste una massa fisica, il cervello, che come tale ha una sua struttura, attraverso cui viene gestito un flusso impalpabile di pensieri, la mente, in parte frutto di «eredita» a seconda delle scuole più o meno genetiche, in parte di esperienze individuali. Il modo in cui il cervello «secerne» la mente – dall’aforisma del medico francese del ’700 Cabanis – e questione che ha occupato per secoli medici e filosofi. Due sono stati comunque gli approcci: il dualismo e il monismo. Si legge nel sito della Treccani che «il dualismo sostiene l’ipotesi della duplice natura della realtà. mente e cervello sono entità separate, e mentre il cervello e fatto di materia grezza, la mente non lo è. Il monismo invece sostiene l’ipotesi che qualunque cosa esistente nell’Universo e costituita da materia ed energia, e che la mente e soltanto un fenomeno prodotto dal funzionamento del sistema nervoso». Pierre Flourens, fisiologo francese dell’800, padre della psicologia fisiologica (disciplina che rintraccia la base delle funzioni mentali nel funzionamento del cervello) si convinse che tutte le regioni del cervello fossero sostanzialmente equipotenziali e che a nessuna di esse potesse essere attribuita una funzione particolare (teoria del campo aggregato). A ciò si oppose il locazionismo del medico tedesco Franz Joseph Gall e la sua teoria frenologica secondo cui il cervello sarebbe un mosaico di tessere, deputate alla produzione di uno specifico costrutto mentale: l’amore filiale, il talento musicale, l’aggressività e così via. Una controversia che nella seconda metà dell’800, attraverso ricerche pratiche, impose la teoria per cui precise funzioni mentali e motorie corrispondessero a zone del cervello. Dopo la scoperta del centro di produzione del linguaggio «i fisiologi tedeschi Gustav T. Fritsch ed Eduard Hitzig fecero nel 1870 un’altra scoperta fondamentale: nella corteccia motrice primaria sono contenuti gruppi di neuroni che, stimolati elettricamente, danno luogo a contrazioni di precisi gruppi muscolari nel lato opposto del corpo». A partire dai primi 2 decenni del ’900 si imposero esperimenti di stimolazione elettrica su animali «volti a dimostrare come nell’ipotalamo, il vertice del sistema nervoso autonomo, fossero contenuti vie e centri nervosi responsabili di risposte vegetative elaborate, come la pressione arteriosa, la sudorazione, ma anche la rabbia e l’aggressività. La stessa tecnica fu impiegata di lì a poco da James Olds, il quale si concentro su un fascio di fibre nervose e un centro neuronale sepolti nella profondità degli emisferi cerebrali».

Henri Laborit

Ma non solo le funzioni mentali come la percezione o il controllo motorio, anche vissuti interiori come le emozioni sono state oggetto di studio della psicologia fisiologica, che si e addentrata nel campo del comportamento emotivo. A partire dagli anni ’30 la ricerca si è sviluppata in vari campi della medicina e della farmacologia. Gli studi che meglio ci permettono di comprendere le tecniche regressive di Badard sono quelli di Henri Laborit, medico chirurgo francese nato in Indocina nel 1914, figlio di un medico dell’armata coloniale. Come direttore della ricerca del Servizio di sanità dell’Esercito introduce l’ibernazione artificiale e il primo tranquillante, la cloropromazina. Gli studi sulle reazioni dell’organismo alle aggressioni lo portano a scoperte scientifiche nei campi dell’anestesia e della rianimazione. Dirige quindi il laboratorio di entomologia e si specializza in biologia del comportamento. Muore nel ’95, accademico delle Scienze di Francia. Nei suoi lavori Laborit (noto al grande pubblico grazie al film di Alain Resnais Mon oncle d’Amerique) irride il determinismo di un mondo di psicobiologi alla ricerca della «matematica del cervello». Gli scopi delle sue ricerche si possono ben riassumere con una frase del suo libro La colomba assassinata: «Il jogging, il ritorno della bicicletta, lo sport in genere, i cortei con o senza lancio di sassi alle vetrine, pestaggio di agenti e incendio di qualche macchina permettono, in un mondo completamente inibito nell’azione gratificante, di compiere azioni che, perfettamente inefficaci sul piano sociologico perché rischiano ben poco di trasformare l’insieme delle strutture sociali, hanno probabilmente alcuni meriti terapeutici sul piano individuale. Il solo timore e che favorendo il ritorno all’equilibrio biologico individuale, favoriscano anche la continuazione di una società la cui contestazione nasce unicamente dal “malessere” che essa provoca. In questo senso si tratterebbe soltanto di una specie di “tranquillante” non chimico». Una pianta si mantiene in vita senza bisogno di muoversi: trae dal suolo la materia inanimata che viene trasformata dall’energia solare in nutrimento. Gli animali e gli uomini, quindi, per vivere hanno bisogno dell’energia solare trasformata dalle piante (il cibo) e pertanto devono muoversi. Per spostarsi e necessario un sistema nervoso 3 che agisce dentro e sull’ambiente per garantire la sopravvivenza. È un impulso che, se soddisfatto, darà sensazioni di piacere, e che prevede un comportamento detto di consumo (il bisogno di mangiare, bere e accoppiarsi), di lotta e di inibizione. Per Laborit l’evoluzione della specie e conservatrice. Dal cervello «rettile» – che scatena comportamenti di immediata sopravvivenza –, si passa al cervello dell’affettività dei mammiferi. Più che affettività si tratta di memoria, dal momento che senza ricordi è impossibile provare stati d’animo («si potrebbe quasi dire che un essere vivente e una memoria che agisce»). C’è poi un terzo cervello, la corteccia associativa, che unisce le vie nervose che hanno conservato traccia delle esperienze passate. Mentre si vive la corteccia associa le esperienze del cervello «rettile» e le memorie in maniera diversa da come sono state «ereditate» permettendo di creare un processo immaginario proprio, individuale. «Ciò che bisogna sapere», afferma Laborit nel film di Resnais, dove interpreta come attore se stesso, «e che, all’inizio dell’esistenza, il cervello e ancora immaturo. Per cui nei primi due o tre anni della vita di un uomo l’esperienza che egli trarrà dall’ambiente che lo circonda sarà indelebile e costituirà qualcosa di molto importante per l’evoluzione del suo comportamento nel corso di tutta la sua esistenza». Cercherà soddisfazione, scoprirà la «punizione», quella che finisce per sfociare nella fuga o nella lotta. Secondo Laborit bisogna essere coscienti che gli stimoli che penetrano, già nell’utero, nel nostro sistema nervoso vengono dagli altri, di cui noi stessi facciamo parte. Morti noi, moriranno con noi anche tutti «gli altri» che ci hanno determinato. Due dei nostri cervelli operano sull’inconscio, il terzo e quello che giustifica l’operato degli altri due, fornisce loro linguaggio e alibi e porta a quattro tipi di comportamento. Assolvere ai bisogni fondamentali. Gratificarsi, ossia ripetere azioni che generano piacere. Reagire alla punizione. Inibizione, ossia immobilismo e tensione, angoscia. E l’angoscia e l’impossibilità di gestire e dominare una situazione. Laborit ha raccontato, tra libri e film, vita, esperienze e sensazioni di un topo in gabbia, mai così angoscianti come quelle di un uomo. «Non esiste l’istinto della proprietà, come non esiste l’istinto del dominio. C’è semplicemente, per il sistema nervoso di un individuo, la scoperta della sua necessità di conservare a propria disposizione una cosa o un essere che è altresì desiderato, invidiato da un altro essere. Ed egli sa, perché lo ha imparato, che in questa competizione, se egli vorrà conservare l’essere o la cosa a sua disposizione, dovrà dominare. Abbiamo già detto che noi non siamo che gli altri… Il funzionamento del nostro sistema nervoso comincia appena a essere capito. Solo da venti o trent’anni siamo riusciti a capire come, a partire dalle molecole chimiche che lo costituiscono e che ne formano la base, si formano le vie nervose che saranno codificate, impregnate, dal tirocinio culturale. E, tutto ciò, in un meccanismo 4 inconscio. Perché le nostre pulsioni e i nostri automatismi culturali saranno mascherati da un linguaggio, da un discorso logico. Il linguaggio, in questo modo, non contribuisce altro che a nascondere la causa dei predomini, i meccanismi attraverso i quali questi predomini si creano e a far credere all’individuo che, operando per il nucleo sociale, egli realizza il suo proprio piacere. Mentre, di solito, non fa altro che mantenere delle situazioni gerarchiche, che si nascondono, appunto, sotto alibi di linguaggio». Per Laborit, una volta compreso che ogni azione e inefficace, l’uomo si inibisce e sfoga questa sua inibizione con malattie psicosomatiche. Guardando l’altro, se, ingaggerà, una lotta, se riuscirà a farlo. Le consuetudini sociali impediscono all’uomo qualsiasi violenza difensiva che finiscono per sfociare in aggressività, una forma di risposta alla paralisi dell’azione. E l’aggressività, anche se mai gradita, trova nel funzionamento del sistema nervoso una spiegazione. Dalle malattie infettive a quelle mentali tutto fa capo alla repressione dell’aggressività verso gli altri. E se noi siamo gli altri, verso noi stessi, in tutta la vasta gamma di malattie fino ad arrivare al suicidio. Dice Laborit: «L’inconscio costituisce uno strumento terribile, non tanto per il suo contenuto represso, represso in quanto troppo doloroso da esprimere, perché verrebbe punito dalla sociocultura. Ma per tutto quanto e, al contrario, autorizzato e persino ricompensato dalla medesima sociocultura, inserita nel suo cervello sin dalla nascita. Il cervello non è cosciente della sua presenza, anche se è lui che guida le sue azioni. E quell’inconscio socioculturale, che non e l’inconscio freudiano, e il più pericoloso. «Infatti ciò che chiamiamo la personalità di un uomo», conclude, «di un individuo, si costruisce su una cianfrusaglia di giudizi di valore, di pregiudizi, di luoghi comuni che si trascina dietro e che, man mano che la sua età avanza, diventano sempre più rigidi, e che sempre più di rado sono rimessi in questione. E quando un solo mattone di questo edificio viene tolto, tutto l’edificio crolla: scopre l’angoscia. E questa angoscia non indietreggerà né di fronte al delitto, per l’individuo, né al genocidio o la guerra, per i gruppi sociali, pur di esprimersi. Cominciamo a capire attraverso quali meccanismi, perché e per come, attraverso la storia e nel presente, si sono stabilite le scale gerarchiche di potere».

Jean Claude Badard

La descrizione dello stress e dell’aggressività fornita da Laborit porta inevitabilmente a Jean Claude Badard. Specialista in psicosomatica, psicogenealogia, psicoterapeuta, psicosociologo, Badard si è specializzato lavorando per dieci anni in équipe di prevenzione, formando terapeuti nel campo del servizio sociale, in cui ha creato anche strutture d’intervento. Background degli studi: psicologia e sociologia di coppia, psicologia 5 animale e comportamento umano, sociologia dell’evoluzione della specie, biologia del comportamento, psicologia e sociologia istituzionale (il gruppo e il territorio), psicosomatica, psicologia transfamiliare. Si è quindi dedicato all’analisi psicologica dell’organismo di protezione delle specie animali, per passare alla psicosomatica delle malattie di gruppo e alle disfunzioni individuali e di gruppo. Attualmente opera come psicoterapeuta a Grenoble (Francia) e interviene nel campo della psicosomatica, della terapia del dolore e delle disfunzioni nei comportamenti biologici. Il suo approccio mira a unificare discipline apparentemente diverse, in un sistema che prevede un lavoro di gruppo tra chi è in cura e chi cura. Le malattie e i comportamenti risultano essere la migliore risposta (e quindi una modalità di sopravvivenza) che il cervello ha fornito a particolari stress che il paziente sta vivendo oppure ha vissuto. Relativamente allo stress, Badard sostiene che la persona va considerata in tutti i suoi piani di esistenza, mentre a livello fisiologico, quindi cellulare, le cellule si «specializzano» per diventare delle «supercellule» in modo da fornire la risposta ottimale da parte dell’organismo in condizioni di stress al fine di assicurare la sopravvivenza dell’individuo e, tramite lui, della specie. «Da quando c’è vita sulla terra (alghe blu), la vita si propaga grazie a un fenomeno di adattamento, per permettere la sopravvivenza di ogni specie mediante l’evoluzione. Ogni individuo di ogni specie mette in memoria tutte le proprie esperienze sotto forma di programmi biologici che rispondono a determinate leggi per la sopravvivenza della sua specie. Tutte le malattie sono dunque dei programmi biologici di sopravvivenza. Ogni malattia e la risposta perfetta e precisa del nostro cervello a una sequenza emozionale non conclusa, nello scopo di sopravvivenza della specie. Tutte le malattie cosi come gli avvenimenti della nostra vita (sintomi manifestati come divorzi, separazioni, morti, incidenti, perdita del lavoro eccetera) provengono da sequenze emozionali non concluse nella storia dei nostri genitori e antenati. L’avvio di questi programmi avviene prima della nascita e/o del concepimento e il progetto inconscio dei genitori diventa il “senso esistenziale” nella vita del bambino. «Questi “manifestati”, che sono l’esatta trasposizione del conflitto nella genealogia», prosegue Badard, «sono gestiti nel cervello sotto forma di cicli precisi: autonomia, identità, compleanno, ciclo di 7 e 9 anni, incrocio dei nostri cicli personali e dei cicli collettivi. Il cervello prepara un programma cellulare (memoria incosciente) a partire da una sequenza emozionale che non è conclusa (memoria cosciente) attraverso il “risentito” (termine di difficile traduzione in italiano, avendo in francese due accezioni di “cosa sentita interiormente in maniera profonda”, ma anche di ri-sentito, ovvero di cosa sentita due volte) che funge da filo conduttore per la programmazione biologica della malattia o del comportamento». Ritrovando le sequenze emozionali non concluse, in una rete tra 6 cervello inconscio-biologico-emozionale e quello cosciente- razionale è possibile, per Badard, modificare la «programmazione» dei quattro piani – intellettuale, emozionale/affettivo, sessuale e corporeo – al fine di arrivare a una guarigione totale e non solo alla soppressione dei sintomi fisici e comportamentali. Non basta la volontà. La nostra struttura mentale lotta contro di noi e contro la guarigione, non vuole la razionalità e si fa sentire attraverso la memoria cellulare, intrecciando coscienza e memoria. Deprogrammare un cervello è possibile solo con la morte, scrive Badard, ma gli si può insegnare a percepire in modo differente, mantenendo cosciente la memoria, che può venir rivisitata in modo differente. Badard non sottovaluta né le Costellazioni familiari, ne le tecniche comportamentali, a patto che vengano applicate da persone esperte in biologia, psicoterapia e psicologia. Fine ultimo è riappropriarsi della propria storia familiare inconscia, delle emozioni incompiute e procedere sulla strada che ci determina nel carattere, nel modo di comportarci, nei desideri e paure che ci abitano. Insomma, si tratta di ridare un senso personale a un modo di vivere spesso di facciata, a ciò che ci arricchisce per arricchire la nostra vita. Più in generale, secondo le teorie psicobiologiche tutte le disfunzioni colpiscono simultaneamente la psiche, il cervello e il corpo e seguono una legge secondo la quale malattia o comportamento particolare sono provocati da uno shock e originati da un conflitto o da una situazione in cui si e verificata un’opposizione incosciente tra razionalità ed emotività. La localizzazione del male o la tipologia comportamentale seguono regole che riguardano il modo in cui il paziente percepisce il conflitto e una localizzazione della «dissociazione» delle cellule cerebrali. Come dire che ci si ammala in un punto preciso «deciso» dal cervello (suddiviso in tre formazioni evolutive diverse sotto l’aspetto anatomico e psicologico) e che da quel punto dipendono anche gli sviluppi del male. Ricostruendo un genosociogramma personale – ossia seguendo un’anamnesi che riguarda la linea genealogica di almeno tre generazioni – si può risalire a quanto dal nostro passato ci porta a ripetere comportamenti, traumi, malattie che erano già appartenuti agli antenati. Secondo queste teorie l’uomo porta con se comportamenti individuali e collettivi che non riguardano solo l’infanzia, ma che si consolidano a livello biologico nello sviluppo della specie e che possiamo modificare sulla base della psicologia, dell’etologia (comportamento e comunicazione negli animali e loro continuità nell’uomo) e dei legami transfamiliari. Secondo Badard coi pazienti sono possibili più livelli d’interazione. Il primo è quello personale. In chi soffre agiscono due fattori di conflitto nella vita, uno che programma il male e l’altro che l’innesca. A questo livello il paziente può cominciare a lavorare sulle problematiche personali. Segue il livello familiare, dove le ragioni del conflitto vanno ricercate nell’albero genealogico e intese come «progetto». È il programma 7 inconscio dei genitori nei confronti del figlio. Spiega Badard che non si tratta di nulla di cosciente, dal momento che ogni padre e madre desiderano tutto il meglio per il loro ragazzo. Si tratta di aspettative inconsce, mai verbalizzate che si tramandano. È necessario arrivare a scoprire questa specie di «eredità di attese» per comprendere le linee biologiche e quel determinismo inconscio che opera nell’individuo. Esiste poi un livello sociale, con cui si entra nell’inconscio collettivo, che ha un peso enorme nella formazione, dal momento che crea una specie di prisma attraverso il quale leggere la realtà. È il livello su cui operano le mode, i criteri estetici di bellezza, quelli che determinano le regole del successo o della ricchezza. Altro livello e quello generale dei conflitti storici. Badard porta l’esempio di una francese che aveva avuto una relazione con un tedesco durante l’ultimo conflitto mondiale. Giudicata, processata e condannata, il fatto storico è entrato nel sistema sociale e personale e spiega ora le sue forti posizioni politiche a favore dell’Europa unita, una scelta determinata dalla storia. Infine il livello geografico. Il luogo dove si vive impregna la nostra cultura determinando per lungo tempo un clima particolare e memorie di ambienti che si trasmettono a livello familiare e personale e che possono incidere sulle condizioni di ognuno. Il fine ultimo sarà dunque scoprire nel quotidiano le reazioni emozionali prodotte dagli eventi da cui dipendono. La coscienza di queste reazioni permette di riappropriarsi della memoria degli eventi stessi e quindi di coglierne il senso e accedere meglio alla conoscenza del sé per liberarlo. E per liberare anche il corpo, reinformando (in un certo senso riprogrammando) le cellule cerebrali per farle uscire da uno schema ripetitivo e inserirle in uno schema personale e libero. Insomma, si tratta di scoprire un’altra via rispetto al condizionamento ricevuto. Con tutte le porte aperte anche alla farmacopea nelle sue forme, da quella accademica a quella naturale.

A chi si rivolge. Tecnica e casistica

È lo stesso Badard che ci fornisce materiale per meglio spiegare a chi si rivolge la psicobiologia. Dato per presupposto che la malattia e una forma di sopravvivenza a un particolare stress, in funzione di esso e della percezione individuale, è necessario integrare il livello fisiologico, ossia cellulare, in modo da permettere la sopravvivenza delle cellule anche in una situazione «esasperata». La biologia spiega il ruolo di ogni cellula e la corrispondente percezione. Un esempio? Durante una fuga, inseguiti da qualcuno o da un animale, si è in eccesso di stress. La soluzione migliore e correre il più 8 velocemente possibile per sottrarsi all’inseguitore. La velocità è regolata dagli ormoni tiroidei. In questo «surmenage», la persona programmerà una malattia tiroidea che produrrà in eccesso l’ormone che serve a renderla più veloce. Ciò per spiegare che gli ipertiroidei hanno tutti un «programma di fuga», gli ipotiroidei un «programma d’impotenza». Ma Badard specifica anche che non è la situazione che determina il programma, quanto il sentire individuale. L’uomo è obbligato ad ammettere che è quanto creato dalla sua realtà. In luogo di una ricerca esterna, sarà quindi più efficace andare alle radici interiori dei propri atti, interessandosi delle memorie che incarniamo. «Immaginiamo una donna», scrive Badard, «che, aprendo la porta della propria camera, scopre il marito a letto con la migliore amica (viceversa il marito). Vivrà uno choc, un eccesso di stress biologico, che non dipenderà dalla situazione in se, ma dal proprio modo di percepirla, influenzato dalla memoria inconscia ereditata dagli avi. Potrà quindi viverla in vari modi. Dirsi: “Quella è più bella di me” con la probabilità di decalcificare il bacino a causa della svalorizzazione. Potrà dire: “Carogna, mi vendicherò”, “indirizzando” lo stress alla cistifellea o allo smalto dei denti, se la percezione è quella di mordere. O ancora: “Non perdonerò mai”, se la cosa è vissuta come indigesta e quindi potrebbe provocare occlusione intestinale o ulcera allo stomaco, se il soggetto si sente incompreso. Oppure: “Tra noi è finita” con conseguente conflitto e possibili cisti alle ovaie». Le forme di malattia ipotizzabili sono tantissime: la pelle può coprirsi di eczemi fino ad ammalarsi di melanoma se l’individuo percepisce un senso di sporcizia o attacco, può apparire una cistite se sente violato un territorio (il proprio letto), appaiono le emorroidi in caso di identità messa in gioco. E si potrebbero ancora immaginare altre soluzioni, come ad esempio che essa sia sollevata nel vedere che l’uomo che lei tradiva può alla fine accettare che lei lo lasci. Badard specifica che ogni cellula è legata a una memoria, ogni percezione a una precisa funzione. Sono infatti i nostri archetipi che ci programmano attraverso le loro sequenze emozionali inconsce. Bisogna dunque andare a vedere ciò che si nasconde nell’albero genealogico e ritrovare la storia inconscia della famiglia, che poi è quella che programma le nostre disfunzioni biologiche e comportamentali. È necessario essere coscienti di queste memorie per riprogrammarle. La psicogenealogia è un campo di guarigione e di realizzazione del sé, una ricerca sui meccanismi che hanno costruito la nostra storia, i nostri tratti caratteriali, il nostro modo di comportarci, i desideri e le paure. Lo studio del nostro albero genealogico ci permette di comprendere che le sequenze emozionali indistinte dei nostri avi anche morti sono tuttora vive in noi. Abbiamo ereditato a tutti gli effetti memorie cellulari o memorie genealogiche che sono il carico emozionale trasposto nei gameti, sequenze della loro vita. La 9 prima tappa nel cammino liberatorio dell’eredità familiare passa per una conoscenza della propria genealogia al fine di prendere coscienza delle memorie in conflitto e delle loro ripercussioni nella nostra vita. Badard non sottovaluta l’analisi del nome proprio. «Il nome Renato, ad esempio, sta a significare che in una generazione precedente c’è stato un bambino morto oppure un padre morto molto giovane, e per i quali non è stato vissuto il lutto: chi attribuisce questo nome, esprime il desiderio inespresso di ritorno in vita di quel morto e sicuramente chi lo porterà sarà investito da questo ruolo. Se poi questo bambino morto non ha avuto sepoltura (morto ma non sotterrato), colui che si chiama Renato potrebbe sviluppare malattie intestinali, come gonfiori, flatulenze. I nomi ci danno talvolta informazioni per arrivare prima al nocciolo della questione, per uscire dalle problematiche familiari inconsce. Anche le Costellazioni familiari sono un ulteriore strumento di ricerca. In realtà non si tratta di rivivere il passato, né, tanto meno, di una presa di coscienza delle ripetizioni o degli intrecci del sistema, visto che la pratica dimostra che comprendere ciò che è alla base delle nostre difficoltà non è sufficiente a modificare i comportamenti o a guarire in senso biologico. Si tratta di medicare le ferite degli antenati, risistemare sequenze troppo dolorose. Trasformare simbolicamente la storia transgenerazionale, insomma, per trasformare la propria». L’importante e di sorprendere nella nostra quotidianità le reazioni emotive che si producono quando incontriamo degli esempi che le fanno scatenare. La coscienza di queste reazioni aiuterà a riappropriarci della memoria degli avvenimenti, affinché ne possiamo comprendere il senso e arrivare molto meglio alla comprensione di noi stessi per liberarcene. In questo percorso, noi avremo la possibilità di comprendere come, partendo dalle nostre reazioni emozionali, il nostro corpo reagisce agli avvenimenti con cui è quotidianamente a confronto. Noi possiamo anche ricordare alle nostre cellule la loro capacitò di uscire dagli schemi ripetitivi, per entrare in uno schema personalizzato e libero. Noi permettiamo loro di vedere e constatare che vi è un’altra alternativa al condizionamento che abbiamo ricevuto. Il modo migliore di vedere e il constatare, attraverso gli accadimenti reali della nostra vita, come si produce l’evento ciclico, in un’appropriata griglia di lettura. La griglia dei cicli della vita permette di fissare gli eventi della nostra vita dalla nascita, mese dopo mese. Una griglia dei cicli della vita e, dunque, una storia: la storia di una persona, riempita con gli eventi in quanto tali e non con la loro interpretazione. Lo strumento ciclico è uno strumento molto semplice: due o tre piccole colonne per accompagnarci nelle nostre vite. Cammino ricco di emozioni e di nuovi incontri con noi stessi, sostiene Badard. Il nostro corpo, proprio come un computer, non funziona che in ragione dei programmi che ci sono installati. I nostri comportamenti, le 10 prove della nostra vita, le nostre sofferenze altro non sono che il risultato del programma installato inizialmente nella memoria delle nostre cellule. La ricerca del significato di un evento vissuto in un determinato momento della nostra vita va fatta con la ricerca nel nostro passato degli eventi iniziali che stanno alla base del programma che noi ripetiamo. Lo scopo del lavoro con le griglie è di individuare le ripetizioni: come noi ripetiamo gli eventi e come noi ripetiamo gli schemi dei nostri genitori. L’obiettivo del lavoro con le griglie e di trovare per tutti gli eventi in risonanza il modo in cui la persona li ha vissuti e non di fissare l’attenzione sull’oggetto dell’avvenimento. Perciò bisogna interrogare la persona per cercare più dettagli possibili relativi alle sensazioni, all’ambiente e alle emozioni che circondano l’avvenimento il legame tra avvenimenti in risonanza non è un legame fisico, materiale, ma un legame psichico ed emozionale: se la persona cerca di fare una connessione tra un incidente di macchina e un’operazione di appendicite, vi sono molte probabilità che non ve ne parli, ma, se prende coscienza di tutta la collera inespressa che aveva addosso in occasione di questi due accidenti, lei comincia a scoprire qualcosa d’altro e, di colpo, può lavorare sul significato di questi avvenimenti, che è la collera che nasconde. Ciò che è importante, è ascoltare e comprendere ciò che la persona dice, le parole e le espressioni che usa, le emozioni che sgorgano, i movimenti del suo viso, del corpo e via dicendo. È importante farsi spiegare le parole dette per non entrare nell’interpretazione o la proiezione, interrogare le parole per inoltrarsi nella precisione. A forza di essere interrogata, la persona comprende quello che dice ed entra in risonanza. Non è più solo il mentale o l’emozionale a essere coinvolto, ma lo è la stessa vibrazione delle cellule. Quando, dopo una seduta di lavoro sulla griglia, la persona ha trovato uno schema ripetitivo, è importante per lei terminare la seduta con un lavoro concreto da fare. Se, ad esempio, ha trovato che nella sua famiglia la donna prende il posto dell’uomo, il lavoro potrebbe essere di vedere come lei, nella sua quotidianità, prende il posto dell’uomo. Così nella seduta successiva potrà raccontare come si è vista e il terapeuta potrà quindi aiutarla. Tutto va dunque bene, se integrato, per chiudere la sequenza emozionale inscritta nelle cellule dell’individuo: la biologia, le Costellazioni familiari, i ritmi biologici cellulari memorizzati… «In molti mi chiedono qual è il ruolo karmico di tutto ciò. Si può concepire il Karma come successione della nostra genealogia: ho forzatamente ereditato archetipi medievali, dall’antica Roma eccetera. Oppure lo si può intendere come memoria ancestrale e, per chi vi crede, memoria karmica. In ogni caso noi siamo portatori inconsci di queste memorie ed e importante comprendere che queste “vecchie vite” potrebbero disturbare il nostro presente. In molti vorrebbero deprogrammare tutto, ma non è possibile, 11 perché è essenziale alla nostra sopravvivenza che alcune parti di noi restino nell’ombra». Il fine ultimo di questo tipo di terapia è arrivare passo a passo all’insieme del nostro essere – per alcuni anche una conquista di spiritualità, ma mai una nuova religione. «Tutti i malati e coloro che vogliono cambiare qualcosa nella propria vita hanno interesse a capire qual è la forza inconscia che è alla base del loro problema. Mai le proiezioni coscienti. La volontà non guarisce, la mente spesso blocca la strada verso la guarigione, quando si vuol capire in modo razionale ciò che bisogna arguire dalla percezione della cellula». Per concludere, Jean Claude Badard espone il caso di una paziente, rivoltasi a lui con problemi di piastrine. L’etimo del nome e «il mio sangue e inutile». «In biologia», spiega, «le piastrine servono a coagulare il sangue, quindi la sua malattia era un problema di mettere assieme gli elementi del sangue, come dire riunire i membri della mia famiglia. Questo conflitto e questa memoria inconscia appaiono evidenti quando si apprende che marito e figlio non si parlano. Suo figlio si chiama Ion, ossia nell’etimo “elemento che mette assieme le parti”. La donna manifesta paura per un’ipotetica separazione della figlia o della migliore amica dal marito, per la morte dei familiari, di fronte a trasmissioni televisive che parlano di famiglie disperse in guerra«. Badard verifica che al momento del concepimento i genitori volevano interrompere la gravidanza; a 12 anni era rimasta traumatizzata dalla separazione dei genitori; a 24 anni aveva interrotto una gravidanza, interpretando la cosa come separazione e sangue; a 36 anni e nato Ion, a 48 ha cominciato a soffrire di amenorrea (trattenere il sangue per non abortire mai più). È la stessa età che avevano i genitori quando si sono separati. A quella stessa età s’ammala, nel mese di febbraio. Ricorda un nonno abbandonato alla nascita e raccolto dai frati di Saint Vincent de Paul (Vincent nell’etimo e «sangue inutile»), nato a febbraio e a cui era stato imposto un nome che nell’etimo richiama il mese. Conclude Badard: «Dobbiamo capire che quattro generazioni consentono la programmazione biologica. Il bisnonno ha vissuto la separazione a livello intellettuale. A livello emozionale e affettivo viene vissuta dal nonno. I genitori vivono lo stesso conflitto a livello sessuale e lei lo vive a livello fisico come un problema di piastrine. Prenderne coscienza e confrontarsi coi familiari, in particolare sul proprio trauma da separazione, affiancato da un gesto simbolico di rientro nella famiglia e riconoscimento del nonno, ha permesso alla paziente di guarire».

Tratto da “Le terapie regressive. Alla ricerca delle vite pasate” di Francesca Longo e Liliana Nardese, Xenia Edizioni