Articolo pubblicato sulla Rivista “Costellazioni sistemiche”. Numero 6 – dicembre 2007
Una calda serata di primavera. Un fiorito di rose, che circonda una struttura ospitale e carica di energia positiva, il Centro di Spiritualità Beata Imelda di S. Lazzaro. Si respirano pace, silenzio, meditazione.
È questa la cornice che ci ha accolto il 12 maggio, quando l’incontro con Jean Badard sembrava ormai sfumato con l’annullamento della sua conferenza a S. Lazzaro. Avevamo un po’ rincorso questa occasione da qualche mese, sollecitati inizialmente da conoscenti, poi con nostre ricerche dirette, ma tutto sembrava essere nuovamente svanito. Invece no. Con la caparbietà che non ci manca, abbiamo richiamato il nostro contatto, Patrizia Tondino, avanzando l’idea dell’intervista, per avere un approccio diretto e profondo e cogliere anche sfumature rivolte all’ambiente terapeutico, e non solo agli aspetti divulgativi. E finalmente, Gilda D’Elia, Giacinto Olivieri ed io, ci siamo accomodati intorno ad un tavolino con Jean Claude Badard e Patrizia nella brezza vespertina, quella che più che un’intervista, si chiamare una chiacchierata informale sul percorso e sugli apporti che il professore ha dato alla prassi terapeutica non convenzionale. Le domande preparate sono infatti scivolate all’interno di una conversazione amichevole e poco strutturata, in una rete agganci, di interessi comuni, di vissuti e pratica terapeutica condivisa.
Può dirci qualcosa sul suo percorso di ricerca umano e professionale?
“Ho iniziato la mia formazione come Educatore Sociale Specializzato, operando come Educatore di strada e creando poi, con qualche collega, anche alcune strutture, in un momento molto interessante e di cambiamento negli anni ’70. Durante questo periodo mi sono formato in Psicologia e Sociologia, di base sono psico – sociologo, occupandomi poi, nel corso degli anni, di Etologia, con pratica di ricerca ed osservazione di animali, Etnologia, Psicanalisi – per anni – per lavorare poi con squadre di applicazione.”
E come, è arrivato all’integrazione di tante correnti distinte?
“Ho lavorato con Henry Laborit, biologo francese molto importante e particolare, e ciò che mi è più piaciuto di lui è che sosteneva che non serve essere molto specialisti di un’unica cosa, perché ci si ferma solo su quella, ma spaziare; ed è quello che ho fatto. E poi ho cercato di integrare, come quando parlo di biologia, in cui parlo molto di matematica, di fisica quantistica, perché partiamo da un principio che la biologia più o meno tratta di elettricità, di idraulica, di meccanica, di trasmissione di informazioni, e ci sono tanti campi che parlano di questo, ed io cerco di integrare queste informazioni e di dare dei messaggi che le persone possano capire a più livelli di approfondimento. Ad esempio il concetto che “siamo tutti Uno”, è spiegabile su più piani, con analisi a livello sociale o personale; mi hanno molto interessato anni fa le Costellazioni Familiari che mi hanno stupito e affascinato ed ho pensato che se abbiniamo questo strumento alla biologia, diventa potentissimo. Faccio un esempio: un giorno in un lavoro di gruppo abbiamo fatto una Costellazione su un lavoro personale di un ragazzo, molto coinvolgente per tutti e che a lui è senz’altro servito, ma quando lui ha parlato, io ho subito “saputo” che il padre a cui si riferiva non era suo padre biologico e questa cosa non è stata abbinata alla Costellazione in quel momento, me la sono appuntata ed ho pensato che se avessimo lavorato anche su questo sarebbe stato ancora più importante ed in seguito l’ho provato e l’ho fatto, ed è stata un’attività veramente stupenda. Non mi servo quindi abitualmente solo delle Costellazioni, cerco di integrare gli strumenti. Abbinando le attività si punta su qualcosa di molto essenziale, evitando così aspetti emozionali troppo eclatanti, che sì, piacciono alla gente, ma che per la persona sono un po’ periferici, non l’aiutano; certo l’emozione è importante, ma così abbiamo un preciso angolo di visuale.”
In che modo ha saputo che quel padre non era il vero padre, così per avere un’idea?
“Uh, non è immediato spiegarlo… Ho lavorato molto sull’albero genealogico; adesso ho composto una mappa di una trentina di punti e ad un dato momento questi si incrociano tutti, il che diventa molto forte; per lui era una cosa importante ed evidente.”
Quindi ci sono una serie di collegamenti che lei trova…
“Sì, una volta disegnavo graficamente l’albero genealogico, adesso lo faccio direttamente a mente, non più in modo così sistematico; quando faccio un corso su questo, do 30 domande alle persone da fare all’albero, perché per noi nella famiglia ci sono tante cose evidenti, ma non è così vero, e queste risposte messe insieme già aiutano a scoprire cose, anche in base a date, ripetizioni di fatti, ricorrenze, mestieri, nomi… Perché in biologia vediamo che quando c’è un problema potente, il nostro cervello, per gestire tutto, lo mette da parte perché tutto il resto del cervello possa occuparsi d’altro, per la sopravvivenza, e noi non abbiamo più accesso a queste informazioni in modo cosciente; e quando si fa un lavoro di gruppo, spesso tutti capiscono quale è il problema, ma la persona non lo vede, non lo riconosce, anche quando è semplice. E ci sono tutti i “manifestati”: questa cosa nascosta si esprime in tutti i campi, la ritroviamo in più prove, in più situazioni ripetute. Ed è un’espressione che ha radice biologica, nel funzionamento del cervello.”
E qui fa riferimento anche alla Nuova Medicina Biologica del dotto G. Hamer…
“Sì, senz’altro, almeno sugli shock, sul conflitto. Ho passato due anni a Montpellier, dove conoscevo un primario di oncologia, ho avuto la possibilità di accedere a 15.000 scanner di tac ed ho potuto rivericare il collegamento tra lo shock e quel parrticolare organo o tessuto, poi interviene anche un comportamento, un modo di pensare, una sensibilizzazione per eventi già capitati in famiglia… Mi servo anche molto dell’Etologia, per trovare collegamenti, funzionamenti… Secondo il dottor G. Hamer, ciascun individuo, di ciascuna specie, mette in memoria tutte le esperienze di adattamento sotto forma di programmi biologici di sopravvivenza. Ecco che ognuna di queste applicazioni è la risposta precisa del nostro cervello ad una situazione emozionale non conclusa, in una finalità di sopravvivenza della nostra specie. E noi mettiamo in memoria ogni nostra esperienza sotto forma di programmi biologici ed ereditiamo, sin dal concepimento, memorie, emozioni, esperienze, conflitti non risolti, vissuti nella linea materna e paterna. Inoltre ho visto che tutte le malattie, i comportamenti e gli avvenimenti – che io definisco i “manifestati”- della nostra vita provengono da una situazione emozionale non conclusa nella storia dei nostri genitori ed antenati, sono cioè la trasposizione esatta del conflitto proveniente dalla genealogia. Ogni volta che viviamo un problema al quale non riusciamo a dare risposta, il nostro cervello darà la sua, cercandola e trovandola in una memoria ereditata, poiché lo stesso conflitto è appartenuto a qualche nostro antenato. Il cervello crea dunque un programma cellulare (una memoria incosciente) a partire da una situazione emozionale non conclusa (memoria cosciente). Se l’antenato, a suo tempo, non era riuscito a risolverlo, l’ha lasciato in eredità a noi come sequenza emotiva non conclusa. A noi la possibilità di chiudere la stessa sequenza emotiva.”
E quindi ha unito più indirizzi terapeutici ed ha sviluppato un suo metodo personale di intervento, di cura…
“Per me sì. La cosa che dico ai terapisti è che il mio percorso non è una scuola, è un lavoro in corso, una ricerca in corso, possiamo trovare molte cose ed usare strumenti che sono conosciuti, ma il funzionamento preciso del cervello è molto interessante, lui non pensa, applica cose che ha imparato, risposte che sono servite per sopravvivere, ma non c’è soltanto il sopravvivere… c’è anche il vivere, c’è un Io da qualche parte… Per stare meglio non basta la volontà e non serve la razionalità. La nostra struttura mentale a volte lotta contro di noi ed il nostro benessere intreccia coscienza e memoria cellulare. Occorre riappropriarsi della storia familiare inconscia, delle emozioni incompiute e procedere sulla strada che ci determina nel carattere, nel proprio modo di comportarci, nei desideri, nelle paure che ci abitano. Occorre dare il senso personale ai fili della nostra trama. Io ho scoperto che i manifestati sono la “mis en place” del cervello sotto forma di cicli precisi: autonomia, identità, ricorrenze; cicli di 7 e 9 anni; incrocio dei nostri cicli personali e dei cicli collettivi Ad esempio oggi siamo in un periodo di cambiamento molto veloce a livello sociologico, ci sto lavorando molto adesso, prendiamo solo la diffusione del telefono cellulare dal ’92 ad oggi…”
Si dice che il progresso si verifica con un cambiamento nell’ambito della comunicazione… la scrittura, la carta, la radio, il telefono appunto…
“Sì, siamo quasi in un periodo di seconda rivoluzione industriale, si è modificato il modo di comunicare, vuol dire che la gente sta perdendo molto in fretta i punti di riferimento, quelli che i bisnonni, i nonni hanno spiegato a mio padre per sapere come fare, dove andare, come vivere tutti i giorni, come fare una scelta; ora in tre – quattro generazioni non servono più, si devono trovare nuovi modi, la gente è disorientata, deve creare nuovi modelli etici, utilizzabili nella propria vita, ma i modelli ora non ci sono più. Quindi è necessario ritrovare tracce, fare emergere ciò che io chiamo il “risentito”, che serve da filo conduttore alla programmazione biologica della malattia, del comportamento e degli avvenimenti. Rivivendo il “risentito”, trovando queste sequenze emozionali non concluse, facendo legami tra il cervello incosciente biologico – emozionale ed il cervello cosciente – pensante, noi possiamo modificare queste programmazioni biologiche nei quattro piani: intellettuale, emozionale, sessuale, corporeo, al fine di ottenere una guarigione totale e non soltanto una soppressione dei sintomi fisici o comportamentali.”
Lei lavora anche in qualche struttura di cura, in ospedali?
“Adesso non più, ora faccio formazione; ho ancora qualche collaborazione con lo stato francese, ma in piani un po’ diversi, ho sei anni di fronte a me prima della pensione, anche se continuerò a praticare dopo la pensione. Ho chiuso lo studio un anno e mezzo fa, ora mi occupo di formazione e ricerca, cerco di sviluppare il percorso dei terapisti con contatti e-mail, qualche video conferenza, in parte vivo in Italia. ”
La formazione che propone come si articola, chi è importante per lei formare e a quale scopo?
“Faccio 3 tipi di formazione: una formazione per terapisti, medici, naturopati, per tutti gli operatori della salute, per tutte le forme di terapia, per chiunque ha in carico delle persone, anche gli insegnanti. Questo corso dura 3 anni, ma è veramente un minimo, è impegnativo, c’è una ricca bibliografia, il mio scopo è di sensibilizzare molta gente che opera nel campo della salute e che qualcuno prosegua in questa ricerca. Faccio poi dei corsi annuali aperti a tutti: in un anno si fanno quattro incontri di tre giorni con lo stesso gruppo, in un percorso continuo, che affronta tutti i temi. Nei seminari si mettono in gioco tutti i propri “risentiti”, con le memorie che determinano il comportamento e le malattie, e lavorando in gruppo è possibile creare la rappresentazione familiare e sociale (Costellazione Familiare) della situazione reale contenuta nelle nostre memorie, in modo da arrivare ad iniziare un processo che porti alla guarigione.. Poi faccio qualche corso monotematico, su argomenti più periferici, come biologia e sessualità, biologia e spiritualità, esplorandone i legami.”
Il Thema della rivista dove sarà pubblicata questa intervista è “Salute e malattia”. Qual è il suo modo di guardare alla salute ed alla malattia?
“È un tema vasto, si potrebbe parlare per giorni… ho cercato di lavorare in due direzioni: sulla malattia di tutti i tipi, a tutti i livelli, perché per me la malattia può essere intellettuale, fisica, psicosomatica, spirituale… per risolvere delle cose, per guarire subito. Poi con la mia vasta applicazione nel sociale ho cercato di lavorare sulla prevenzione, per fare in modo che la gente si possa equilibrare per essere meno ammalata e soprattutto possa darsi risposte veloci quando c’è un problema difficile. Ho quindi fatto corsi sui bisogni, sulle memorie ereditate, che comunque si applicano e noi non possiamo fare altro; ci sono dei ritmi che possiamo cambiare, ma non penso più come anni fa che si possa cambiare la memoria, potremo trapiantare cervelli, ma senza memoria non esistiamo, ci si può applicare in modi diversi, a seconda che diamo una buona risposta a questa memoria, o che la applichiamo direttamente così com’è. Ho fatto uno studio su questo, ci ho lavorato 5 anni, per far vedere alla gente quali sono le memorie e come si possono applicare; quando c’è un bisogno che possiamo vivere e cercare abbastanza di soddisfare, là c’è una contraddizione da gestire: se una memoria biologica si incrocia, entra in conflitto con il sociale, la vita quotidiana, la nostra cultura, allora frequentemente compare una malattia; occorre quindi lavorare in modo preventivo su queste contraddizioni per gestirle al meglio e non ammalarci.”
L’aria si è rinfrescata, le idee anche. il tramonto è inoltrato e non ci rimane che salutarci, con la sensazione che l’emozione di questo incontro resterà impressa nella nostra memoria.